Quel che resterà di noi

Premessa: ho avuto una giornata da montagne russe, alternando eccitazione estrema a momenti di delusione cocente. Scrivo perché farò fatica a prendere sonno e perché la giornata è finita con una nota triste che faccio fatica a scrollarmi dalle spalle. In genere sono una persona ottimista e positiva. Questa sera non proprio.

Prologo: scrivo di storie vere e per farlo cerco persone da intervistare. È una passione che mi mette di fronte ogni giorno a porte chiuse e strade sbarrate, ma non ci ho ancora fatto il callo. Non so cosa mi fa più male, se misurarmi con l’impossibile e ammettere che non si può sempre vincere, oppure la semplice e nuda realtà che sta dietro i miei fallimenti più cocenti. Ma andiamo con ordine. Ci sarà tempo per capire cosa intendo dire.

Antefatto: un mio collaboratore mi menziona che tanti hanno provato a contattare un programmatore italiano che tra il 1983 e il 1984 ha scritto diversi giochi pionieristici, delle vere e proprie gemme - a modo loro e nel loro piccolo - che sono rimaste nel cuore di una generazione di giocatori. Anche nel mio, per inciso. “Ci hanno provato in 100”, mi ha detto e io l’ho presa come una sfida che dovevo raccogliere. “Io penso di potercela fare”, ho risposto tramite whatsapp. Non potevo vedere la faccia del mio interlocutore, ma mi sono sentito un po’ sbruffone e un po’ arrogante e ho immaginato la sua faccia accigliata. Per cui ho sentito la necessità di aggiungere: “Bisogna pensare lateralmente in queste ricerche” e forse avrei fatto meglio a stare zitto lateralmente per non peggiorare la situazione.

Fatto: 12 ore di ricerca e l’ho trovato. O meglio: ho trovato una fotografia e dei brandelli di informazioni che mi hanno portato a fare delle deduzioni e delle telefonate. Ho trovato chi lo conosceva. “Mi spiace, non posso recapitare il suo messaggio. È morto tanti anni fa.”

Ecco: tante volte mi sono trovato di fronte il vuoto che lasciano le persone quando se ne vanno da questo mondo. Porte sbarrate, vicoli a fondo chiuso per le mie ricerche. Sento una sensazione spiacevole al petto e so che non è per la frustrazione che provo per non poter fare l’intervista su cui contavo tanto, ma per il dolore che sento perché una persona se ne è andata senza sapere quanto era importante, senza che nessuno gli facesse notare che aveva fatto qualche cosa di straordinario. Una delle difficoltà con cui mi devo misurare più spesso è proprio quella di far capire a chi conosceva il defunto, che era una persona INTERESSANTE e che ha fatto cose grandi anche per degli sconosciuti come noi, che per anni ci siamo chiesti chi fosse l’autore del gioco o del programma e come avesse avuto un’idea tanto geniale. Loro mi guardano - o mi scrivono - perplessi. A volte indispettiti, a volte sorpresi piacevolmente perché nella loro mente torna un ricordo addolcito dal tempo e riscaldato dalla scoperta che qualcuno dall’altra parte dell’Italia si era divertito e aveva apprezzato il lavoro del loro amico, parente, conoscente.
È una sensazione strana, agrodolce, in cui la tristezza va di pari passo con la breve e amarognola sensazione di successo per aver svelato almeno una parte del mistero e aver portato alla luce qualche cosa che altrimenti sarebbe andato perso per sempre. “Non potrò intervistarlo”, mi dico, “ma potrò dargli un volto, un’età, parlare dei suoi interessi, degli amici che aveva e la famiglia che lo ha pianto prima e ricordato con dolcezza poi.”
Che cosa resta di queste persone? Che cosa resterà di noi?
Trent’anni o quaranta e si fa fatica - nonostante l’esperienza che ho ormai maturato e le risorse che ho a disposizione - a trovare qualcuno che si ricordi delle persone che cerco. Altri dieci o venti al massimo e non ci sarà più nessuno. I posti al cimitero vengono liberati, le bare mandate all’inceneritore, le ossa composte negli ossari, le poveri disperse. Amici e parenti invecchiano, perdono la memoria e gli appunti, i diari e le foto vengono gettati nell’immondizia.
Una volta sono andato di persona a cercare la sede di un’azienda che copiava giochi. Il palazzo era stato demolito e nessuno nella via si ricordava di loro, che copiavano le cassette e le vendevano in edicola.
Quel che resta dell’intervista che volevo fare è solo un piccolo elogio funebre. Scriverò qualche paragrafo. Forse un paio di pagine. Di più non potrò fare e sarà tutto quel che rimarrà alla storia di una persona come noi, amante dei wargame e dei giochi di ruolo, che all’alba della rivoluzione informatica comprò un Commodore 64 e si mise a scrivere le prime avventure in italiano.
Amaramente poco, ma nulla di più sarà possibile.

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Titoli che questa persona ha creato? Voglio capire se ne ho giocati.

Tra l’altro le avventure testuali che ricordo sono introvabili. Ci ho provato almeno 4-5 volte in diversi momenti della mia vita. È come se quel genere fosse stato cancellato da internet (o mai archiviato) :sad:

Io con la morte ci lavoro fianco a fianco ogni giorno, diciamo che ci sono abituato ma capisco che per chi è “un’evento” e non la normalità possa essere impattante quando ci si trova a farci i conti in qualche modo. Io penso che la nostra vera immortalità in questo mondo è nei geni che risiedono nei nostri figli e che poi tramanderanno nelle generazioni future. Se ti far stare meglio questo è un pò come non morire mai realmente. Mia nipote è la fotocopia della sua bisnonna morta 40 anni fa :asd:

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Se ne era parlato nel 3d memorabilia retrogaming

Che avventure cerchi? Ultimamente ne sono state trovate diverse. Conosco un paio di ricercatori che hanno riesumato del software che sembrava perso per sempre.

Anche io ho contatti prolungati e quotidiani con la morte e non è mai facile, non ho mai trovato la chiave per evitare il coinvolgimento.
Scrivere la biografa o ricercare le vite di queste persone quando sono ancora vive oppure, come ieri, quando non ci sono più, è un modo per sconfigger la morte. Metti su carta informazioni che andrebbero perdute, dai un volto a dei nomi, racconti di quando erano vivi, avevano passioni, interessi, speranze e sogni: erano programmatori di giochi che avrebbero voluto giocare, ma che non c’erano e quindi li hanno creati loro. Anche parlare con i loro parenti - lo faccio molto spesso ed è sempre una cosa toccante, che devo fare in punta di piedi, con tatto per cercare di non offendere eppure spesso mi accorgo di riaprire ferite mai guarite del tutto, provocare dolore e allo stesso tempo sollievo, a volte persino gioia per la scoperta che il loro defunto non è stato dimenticato, anzi c’è qualcuno che pur senza conoscerlo, lo ricorda e lo stima - è un’esperienza così intensa che spesso mi lascia svuotato.
Poi mi metto al computer e scrivo e affido quel che ho scoperto a chi verrà dopo di noi. Ecco la mia eredità sarà questa, credo.

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A volte mi chiedo se la necessità di stabilire lasciti, e l’angoscia di fronte all’estemporaneità della nostra esistenza non sia causata da fattori culturali.

Per dire, cresciamo col mito dei monumenti lasciati dai romani, dal valore delle opere culturali tramandate attraverso le generazioni. Difficile non provare senso di perdita quando qualcuno muore, non semplicemente perché sparisce una persona cara, ma perché finisce la finestra in cui costui/costei puo’ contribuire sul lungo periodo.

Orazio, succhiami la verga col tuo monumentum aere perennius. Io voglio vivere senza questa responsabilità, grazie tante.

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C’è chi cerca di lasciare un’eredità e chi trova consolante l’idea dell’oblio completo. Capisco anche questo e anzi mi capita spesso nelle mie ricerche.

Quella che ricordo meglio di chiamava “avventura nel castello”. L’eseguibile era castle.exe.

Ricordo un passaggio che mi fece impazzire in cui avevi una coppa di lattemiele (ambrosia tradotta male suppongo) che veniva “bevuta” se scendevi delle scale. Al tempo non capivo perché fosse collegato come evento e mi ci incazzai non poco :asd:
Evidentemente era un modo per limitare interazione a una certa zona, pena perdere l’oggetto.

Ricordo diversi pomeriggi con carta e penna a tracciare la mappa di questi castello per riuscire a fuggire :asd:

Argomento spinoso, molto complesso, spettacolarmente vasto e senza risposta definitiva, ma questo è un bene; penso sia opportuno rispondere al post d’apertura spezzandolo in 2 diverse osservazione se permetti, mi paiono argomenti separati seppur correlati strettamente.

Una visione limitata dal tuo personale interessamento per una data persona e per il suo operato, la vita di una persona è cosa complessa ed affrontarla da una singola prospettiva è inevitabilmente parziale, puoi suscitare ricordi spiacevolmente dolorosi od al contrario piacevolissimi ed altrettanto dolorosi nella loro assenza in chi abbia conosciuto e vissuto pienamente al fianco di una persone ben oltre l’esperienza sperimentata dalla fruizione della sua opera, non puoi saperlo e non puoi quindi anticipare le reazioni degli altri; tu fai un lavoro socialmente rimarchevole negli approfondimenti, ma il tracciato di esperienze ed interazioni dato da una persona non è facilmente riconducibile ad un’esperienza comune, in questi casi la distanza tra il vissuto è troppo ampia per poter essere riconciliabile.

E questo ci porta al secondo e più complesso passaggio del post.

Questa è entropia, ed inevitabilmente esistenzialismo, e credo vada ben oltre la storia, personale o collettiva che sia; tracce del passaggio rimangono ma in maniera non riconoscibile rispetto alle ambizioni che le hanno generate o di quello la cui volontà ha prodotto in maniera consapevole e specifica. Uno scrittore vorrà rimanere noto per i propri scritti, e per il significato attribuito in essi, per il prodotto consapevole del proprio lavoro, ma per quanto potrà essere vero ? Piuttosto quante sensazioni, sentimenti, riflessioni e decisioni la lettura di quelle pagine avranno prodotto ? E quali conseguenze a loro volta avranno contribuito a creare ? Ed ancora, iterativamente.

Forse quindi qualunque opera, quantunque grande con il susseguirsi delle interazioni che scandiscono il tempo finirà per dissiparsi in un’irriconoscibile cacofonia di conseguenze mescolate le une alle altre in cui sia difficile trovare deterministicamente una consequenzialità, ma altrettanto, forse, ogni piccola azione, ogni microscopico atto risuona nell’eternità come mattoncino infinitamente piccolo ma fondante e fondamentale di una struttura più grande composta da altrettanti ed equivalenti minuscoli corpuscoli d’esperienze ed atti.

Magari nulla è privo d’importanza.

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Quello e’ enrico colombini ancora vivente per fortuna

Un enorme asterisco.

Sulla prima parte sono consapevole che il mio lavoro non sempre incontra l apprezzamento. E’ parte del gioco

Io personalmente, da non credente, non ho grossi problemi ad accettare che ci siamo finchè ci siamo, ognuno decide cosa vuole o non vuole che significhi vivere, e quando non vive più non c’è bisogno che pensi a che succederà dopo.
Verissimo che si dice sempre “Però vivi ancora nel ricordo di chi ti vuole bene” è certamente vero, ma perdonatemi il gretto materialismo, io quando son morto ‘credo’ che non esisto proprio più, quindi se dopo la gente mi loda o mi schifa, mi fanno statue o mi cancellano anche dal registro, non mi cambia niente.

Con le persone morte a me care è dolce ricordarle appunto finchè io personalmente sono in vita, e se ho ovviamente modo di raccontare ad altri come erano o cosa han fatto di bello lo faccio, ma non credo che “loro” lo possano in qualche modo percepire etc, quindi è un pò come se racconto a qualcuno quant’è bello leggere Shakespeare. E’ vero che “quella persona sembra ancora viva adesso” ma non lo è comunque.

Per me è un tipo di argomento che la nostra mente tenta di razionalizzare e concepire giusto perchè può, il famoso “penso dunque sono”…declinato all’umanissimo "Esisto, quindi non posso concepire che quando muoio davvero non esisterò più in nessun modo, devo trovare una scappatoia per potermi convincere che esisterò anche dopo la mia morte e che in qualche modo “starò meglio se lascio qualche ricordo”.

Per me siamo tutti nati completamente a caso e moriremo completamente a caso (senza una ragione, un destino, un significato predetto) ad alcuni con cui magari ne abbiamo parlato questa cosa spaventa e annichilisce (il tipico “allora perchè vivere”) per me è l’opposto, la vita è quella botta di culo che ti capita di percepire, e hai un tempo a te sconosciuto per viverla e far qualcosa…scegli tu se fare cose divertenti, buone per te, per gli altri, oppure cattive, etc etc, poi tanto muori, però nessuno potrà fermarti e dire “no tu eri nato proprio perchè ci saresti servito a questo e adesso non lo stai facendo, non vale”

Io ricordo i nonni con cui ho vissuto, ma già mio nonno paterno, che è morto 2 anni prima che nascessi io, tutti in famiglia e parenti dicono che glielo ricordo tantissimo (più da piccolo, in alcuni modi di fare etc, adesso dubito che potesse mai aver fatto la mia carriera o assomigliarli più di quanto uno non voglia autoconvincersi) ne ho le foto, conosco più o meno cosa faceva e qualche frase che mi han raccontato, ma sinceramente, per me è una foto. Brutto da dire, ma anche se ne avessi un video, avrei la stessa ‘conoscenza’ di lui di quanto ne posso avere di una star del cinema. Lo vedo, so che c’è-c’era, so anche cosa diceva, ma non posso dire ‘lo conoscevo davvero’.

Dal mio nonno andando indietro, sono tutte persone che non ho mai visto, parlato, interagito di persona, non posso dire che per me sono “qualcosa”. Sarà che non viviamo nell’epoca delle dinastie nobili, ma se mi dicessero che il mio trisavolo era una assassino, non mi farebbe nessuna differenza che se invece fosse stato un grande medico o un poveraccio, era uno con cui condivido (a caso) un tot di geni nel mio dna e basta.

A me questo non crea problemi, tristezza, malinconia o altro. Penso sinceramente che il bello di vivere è che è una roba che nell’universo è già assurdamente impossibile che domandarsi “si però quando muoio, dopo che ne sarà di me” è una forzatura.

Io se vedo che faccio star bene un’altra persona a cui tengo, e quando capitano quei momenti in cui capisci che sei stato proprio tu la persona essenziale per l’altro, è già più di un miracolo, e non son credente. E’ proprio figo.

E quando muoio, nonostante non abbia la vita rose e fiori, ma neanche devastata certo, e non credo che nel mondo che viviamo adesso ci sia molto bene, anzi penso che sia un pò tutto una merda con un pò di bene qua e là penso che anche dire “che culo che ho vissuto” sarebbe un degno epitaffio

Buddha dice che tutto é impermanente.

Molto spesso mi aggrappo a questa frase, mi aiuta ad accettare la realtà. Un giorno non resterà nessuna memoria, nemmeno delle più grandi persone che hanno calpestato questa terra. Neppure dei monumenti scolpiti nella pietra. Siamo solo di passaggio in questo mondo.

Ma quando si impara ad accettare, quando si impara ad apprezzare il presente, quello che ci danno gli altri e quello che possiamo dare agli altri, questo boccone amaro diventa dolce, e quanto é più facile ingoiarlo.

Buddha viene rappresentato come un panzone.

Molto spesso mi aggrappo a questa cosa e mangio senza vergogna. :asd:

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Quando scrivo la storia di qualcuno che è esistito, ha fatto e poi è morto, mi sembra di dare ordine al caos, di invertire di un briciolo l’entropia dell’universo, di rendere giustizia. Illusione, forse, ma mi fa stare bene.

É una cosa bella infattj, ci ho riflettuto ancora oggi.

Per me, qualunque significato vuoi attribuire che fa si che tu stia meglio al pensarci, é buono.
Se per te il ricordo é mettere ordine al caos e ti fa stare meglio pensarlo, allora fai bene a pensarlo. Non credo che ci possa essere una risposta vera per tutti.

Io ho perso mia madre pochissimi anni fa di tumore. Ci rifletto ogni tanto, che per quanto la malattia mi ha dato un certo “tempo” per abituarmi al fatto che non avrebbe vissuto ancora anni e anni, mi sono accorto (son cose che nessuno può dirti prima e nessuno prova allo stesso modo) ad oggi mi ricordo si bene di lei, ma non posso dire che é “come se fosse qua con me” (come altri dicono magari).

So che non c’è, ricordo alcune cose di lei, di certo mi accorgo che non ricordo “tutto-tutto” e alcune cose le immagino un pó “interpolando” cosa mi ricordo e le sue possibili reazioni a cose analoghe, e la mia immagine di lei.

Ed è strano, ancora non ho trovato una vera quadra con la sensazione di “si prima c’era, ora non c’è più, ma qualcosa di lei c’è, ma non tutto”

Peró (e quello ripeto, lo dico io e vale solo su di me e per me) questa cosa non mi fa male, mi crea curiosità, é sempre una cosa che fa parte della vita e non ho paura di esplorarla e ogni tanto chiedermi “e ora invece come mi sento su questo?”

Quindi per me questa cosa mi fa stare ok, riflettere sulla morte in un modo un pó forse “cinico” mi tiene in equilibrio, e quindi dico questo é per me il modo “buono”. mentre per te il modo é quello che che hai detto.

Quello é Budai, divinità cinese della fortuna :asd:
É un buddha, ma non quello storico (Siddharta Gautama)
Anzi, per un periodo prima di raggiungere l’ulluminazione Gautama si é sottoposto a pratiche ascetiche durissime e viene rappresentato come emaciato

Siddharta Majunagioia Gautama

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Io ho avuto una surreale discussione teologica (lavoro in un negozio di accessori giardinaggio) con un cliente evidentemente eccessivo consumatore di droghe di vario tipo che mi ha chiesto se avessi qualche statua da giardino oltre al Buddha panzone, allora gli mostro un “Buddha magro” e gli dico:“Sì guarda ho anche questo Buddha”, e lui mi fa:“Questo non è Buddha, questo è Ganesh.” ed io:“No, veramente questo è come storicamente è rappresentato il Buddha in India”, e lui mi prende per il braccio e con aria rassicurante e serissima mi fa:“No, no, fidati, è Ganesh.” ed allora mi fermo ad immaginare i viaggi che si è fatto per giungere a quella conclusione rivelatoria ed allora mi arrendo. :asd:

Per il resto, banalmente, ho sempre ritenuto che siamo semplicemente un veicolo molto complesso per i nostri geni, e sulla base di questo ho sempre avuto un rapporto altalenante (tra il completo disinteresse ed il dispiacere più assoluto :asd: ) riguardo al concetto di essere ricordati, sulla stessa base di ragionamento, ovvero che in ogni caso qualunque azione compiuta prima o poi andrà dimenticata come se non fosse mai esistita, e che anche la quasi totalità dei pensieri e concetti nel breve termine sarà come se non fossero mai esistiti, e sul lunghissimo termine prima o poi anche tutti i pensieri e concetti “importanti” tramandati cesseranno di essere ricordati. È contemporaneamente rassicurante ed estraniante, ma non sono mai riuscito a trovare un equilibrio.

Da quando ho una figlia poi, tralasciando tutte le altre preoccupazioni che infestano la mente di un genitore, mentre la guardo crescere la sensazione è più portata al dispiacere, per tutto il percorso che dovrà fare, per poi doversi prima o poi trovarsi di fronte a questa considerazione da affrontare.

Ma ad ogni modo, la conclusione rassicurante che mi do quando sono in fase “positiva” recita che, stante il fatto che in qualità di individuo senziente “prima” non esistevamo, e che comunque “dopo” non esisteremo, tutto sommato la vita sia meglio di niente, e se veniamo dimenticati non ci perdiamo comunque niente. :asd:

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l’unica vera “immortalità” nel bene o nel male è quella che conferisce la storia, Leonida rimmarà ricordato per sempre fino a quando esisterà l’umanità, o Cesare o altri che hanno fatto “la storia”

per tutti gli altri è valida solo ed esclusivamente la seguente frase “polvere siete e polvere tornerete” , se uno vuole vederla in lato “romantico” , polvere di stelle morte :asd:

In realtà in Cina la pensano diversamente :asd: